Da alcune settimane la periferica città di Trieste è balzata agli onori della cronaca nazionale e internazionale, prima per via dei partecipatissimi cortei contro il Green Pass e poi in seguito allo sgombero poliziesco del presidio davanti al porto avvenuto il 18 ottobre. Prima di provare ad abbozzare qualche considerazione, occorre ricostruire gli avvenimenti degli ultimi mesi.
Già nella tarda primavera si erano tenuti dei partecipati presidi contro l’obbligo vaccinale indetti dalle varie anime dell’associazionismo No Vax (Aliser e Comilva), che a Trieste ha una storia antica, cui si è aggiunto il neonato movimento-partito 3V (sorto a livello nazionale da fuoriusciti dei 5 stelle). Queste iniziative vedevano una larga partecipazione molto trasversale (come nel resto d’Italia) e vertevano sulla libertà di scelta promuovendo le cosiddette “cure domiciliari”. Le formazioni di destra ed estrema destra, pur affacciandosi a queste piazze, non avevano un ruolo, così come non ce lo avevano le realtà di movimento.
La situazione cambia verso fine estate, quando alcune individualità del movimento (appartenenti e non appartenenti a collettivi esistenti) decidono di formare un’assemblea e provare a scendere in piazza su questi temi (a quel punto sul piatto si è aggiunta la questione del Green Pass) cercando di “influenzare” da sinistra le piazze. Un primo presidio vede la partecipazione di trecento persone, cui segue un corteo di quasi duemila per arrivare al secondo (svoltosi pochi giorni dopo la notizia dell’obbligatorietà del Green Pass sui luoghi di lavoro) che vedrà circa diecimila presenze. L’esplosione di questo movimento (così come avviene nel resto dello Stivale) porta a un allargamento dell’assemblea promotrice che diventa, a quel punto, il “Coordinamento Nogreenpass” e che si allarga alle componenti No Vax sopracitate ma non solo, e vede la partecipazione alle assemblee di quasi un centinaio di persone.
Seppure la testa di questi cortei sia tenuta dai compagni e dalle compagne, con tanto di striscione bilingue in italiano e sloveno e non si vedano tricolori (sono infatti vietate le bandiere di qualsiasi tipo), la composizione vede al suo interno tutto e il contrario di tutto: dai fascisti di tutte le tendenze, ai negazionisti puri, da tanta gente di sinistra a qualunquisti di varia risma, dagli ultras (storicamente di destra qui da noi) a settori di lavoratori e lavoratrici. Questa problematica commistione provoca discussioni forti all’interno delle realtà di movimento a Trieste (collettivi, sindacati, associazioni…) e tutte le realtà vedono al loro interno posizioni diversissime: da chi si butta anima e corpo in questa mobilitazione (e anche qui sul perché ci sono posizioni diverse), a chi ci va in maniera molto critica, a chi si rifiuta anche solo di metterci piede. Nel frattempo, al terzo corteo (anche questo partecipatissimo) intervengono i portuali del Coordinamento Lavoratori del Porto di Trieste (Clpt) con un proprio visibile spezzone (il Clpt è la realtà più forte e organizzata all’interno del porto che, dopo essersi federata per un paio di anni con Usb, ne è uscita in malo modo). Pur non avendo una collocazione politicamente precisa, la maggior parte dei suoi aderenti oscilla fra simpatie per l’indipendentismo e una forte vicinanza alle componenti di destra, in particolare gli ultras.
L’11 ottobre, giorno dello sciopero generale nazionale indetto dal sindacalismo di base, si svolgono due distinti cortei: la mattina quello dei sindacati di base (Cobas, Usb e Usi) che vede la partecipazione di un migliaio di persone, il pomeriggio quello indetto dal Clpt (che aveva aderito allo sciopero unicamente sulla questione del greenpass) e dal coordinamento nogreenpass che vede quindicimila partecipanti.
Il corteo della mattina ha visto una significativa partecipazione di compagni e compagne delle più varie tendenze che non avevano partecipato ai cortei No Green Pass dei giorni precedenti e che erano felici di scendere in piazza senza presenze scomode o discorsi ambigui riguardo alla pandemia. In ogni caso la giornata dell’11, con l’enorme partecipazione al corteo del pomeriggio, ha confermato il carattere di massa, interclassista ed estremamente contraddittorio del movimento contro il Green Pass.
Il giorno seguente il Clpt annuncia che dal 15 ottobre bloccherà il porto finché il Green Pass non verrà ritirato, rifiutando anche la messa a disposizione dei tamponi gratis per i portuali dicendo che rifiutavano di essere dei privilegiati rispetto ad altri settori lavorativi. Il 14 ottobre, però, lo stesso Clpt fa marcia indietro e indice solo un presidio davanti al varco 4 del porto, senza l’intenzione di bloccare le merci o i/le lavoratori/ci che intendessero recarsi al lavoro.
Dalla prima mattina del 15 ottobre migliaia di persone (fra cui iniziano a esserci crescenti delegazioni da fuori città) affluiscono al varco 4 che diventa subito il simbolo a livello nazionale della resistenza contro il Green Pass. La composizione è la stessa – trasversalissima – dei cortei delle settimane precedenti; il porto, seppure con forti rallentamenti dovuti a circa il 50% di lavoratori assenti, continua a operare.
Nei giorni seguenti il piazzale davanti al varco 4 si trasforma in una specie di festa permanente con musica, cibo e balli, con un via vai continuo sia dalla città sia da fuori. La partecipazione dei portuali però, ed è un dato evidente già da sabato 16, progressivamente decresce fino a ridursi a poche decine, raccolte attorno al loro portavoce Stefano Puzzer, ormai diventato famoso a livello nazionale. Si fanno vedere anche personaggi inascoltabili come Montesano, Paragone e l’ex generale Pappalardo, così come è costante la presenza dei fascisti, in particolare di Casapound presente in massa da tutta la regione fin da venerdì. Le compagne e i compagni che continuano testardamente ad essere presenti appaiono sempre più sommersi dalla variegata massa di gente da fuori.
Lunedì 18, come tutt* sanno, arrivano le forze del disordine per sgomberare il presidio. Uno sgombero muscolare e determinato, in cui però è evidente l’ordine di non massacrare i presenti (che sono comunque circa mille/duemila) ma solo di allontanarli definitivamente dal varco portuale. È così che idranti e lacrimogeni fanno il loro sporco lavoro, accendendo uno scontro che, seppur a distanza, andrà avanti fino a sera con lanci di bottiglie e cassonetti rovesciati (saranno soprattutto, anche se non unicamente, le componenti di destra e ultras a essere protagoniste di questo secondo pezzo di giornata). Il grosso della gente invece si riversa con un corteo non autorizzato in centro città fino a confluire in Piazza Unità che diviene subito il nuovo cuore della protesta. Per la sonnolenta città di Trieste è comunque un avvenimento “epocale”.
I portuali incontrano il pomeriggio stesso il prefetto e ottengono un incontro con un emissario del governo per sabato 23. A questo punto, però, soprattutto da martedì 19, fanno la loro massiccia comparsa gruppetti mistici, newage, spiritualisti, integralisti cattolici, negazionisti e No Vax venuti da altre città che, in pratica, trasformano il presidio in una fiera dell’assurdo raggiungendo vette di surrealtà difficilmente immaginabili.
Subito dopo, il Clpt con un comunicato si sgancia dal presidio in Piazza Unità e scarica Puzzer; da quel momento per qualche giorno i portuali scompariranno del tutto dalla scena, per poi ricomparire solamente sabato. Il seguente colpo di scena è che Puzzer annuncia la nascita del “Comitato 15 ottobre” capeggiato oltre che da lui da personaggi da fuori città e in particolare da Dario Giacomini, medico radiologo radiato ed ex candidato di Casapound. È un’ennesima mossa per emarginare ulteriormente la componente “di sinistra” rappresentata dal Coordinamento Nogreenpass.
Nel frattempo, Prefettura e Questura iniziano una preventiva campagna stampa terroristica in vista delle giornate di venerdì e sabato in cui preannunciano l’arrivo di 20mila persone fra cui manipoli di “Blackbloc” (del resto siamo nel ventennale di Genova) tanto che il Comune fa chiudere biblioteche e musei. La pressione è tale che il Comitato 15 ottobre revoca il previsto corteo di venerdì chiedendo alla gente di manifestare nelle proprie città e indìce solo un presidio per sabato mattina.
Venerdì la città è completamente militarizzata e vengono comminati anche una dozzina di fogli di via (senza alcuna motivazione reale se non quella di essere militanti conosciuti) ad aderenti di Casapound e altri nazisti, e anche a due anarchiche trentine. Nonostante questo, alcune centinaia di persone presidieranno comunque Piazza Unità per tutto il giorno.
Sabato 23 il Comitato 15 ottobre incontra come previsto il ministro Patuanelli ribadendo le sue richieste: no al Green Pass e all’obbligo vaccinale e scuse per l’intervento poliziesco di lunedì 15. Ovviamente il ministro si limita a dire che “riferirà al governo”. Nella conferenza stampa successiva in piazza, in cui sono presenti circa un migliaio di persone, Puzzer conferma che le mobilitazioni andranno avanti.
Fin qui la cronaca. Si potrebbero riempire pagine e pagine di considerazioni su ciò che sta accadendo ma, per motivi di spazio, mi limiterò ad alcuni sintetici punti.
1) L’argomento della lotta contro il Green Pass (e soprattutto sul come portarla avanti) è un argomento fortemente divisivo e polarizzante del dibattito, e oscura praticamente qualsiasi altro argomento. In questo senso la denuncia del Green Pass come arma di distrazione di massa è sicuramente centrata e purtroppo drammaticamente vera.
2) È impossibile, a mio avviso, portare avanti la lotta contro il Green Pass senza affrontare di petto la questione vaccini che è il vero argomento sul tappeto.
3) Rivendicare come primo punto la libertà di scelta delle cure senza affiancarla a una lotta per la liberalizzazione dei brevetti dei vaccini affinché tutti gli abitanti del pianeta abbiano veramente la possibilità di decidere è, a mio avviso, una visione estremamente viziata da un’ottica propria del primo mondo privilegiato.
4) La richiesta di tamponi gratis per tutt*, che potrebbe/dovrebbe divenire uno dei punti principali delle mobilitazioni in atto, non viene agitata in quanto vi è un’egemonia culturale delle componenti esplicitamente No Vax.
5) Anche quando alla testa di questo movimento vi sono compagne e compagni che provano a indirizzare la lotta in un senso non qualunquista, se non si fa la scelta da subito di porre delle parole d’ordine chiare e discriminanti, a costo di portare meno gente in piazza, non vi è poi modo di porre argine alle derive più reazionarie. In questo senso la politica dei “fronti comuni” a qualsiasi costo mostra ancora una volta tutta la sua pericolosità.
È chiaro che la situazione rimane complessa, che nessun* di noi ha le ricette pronte in tasca e che quindi il dibattito debba continuare.
Un compagno di Trieste